Videogames e Violenza
Scritto da Maurizio Brasini
C'è sempre una novità in agguato pronta a corrompere le menti e le anime dei giovani. Negli anni '50 era il rock & roll e, ancora prima, la musica di Mozart. E' toccato ai fumetti,e persino ai libri. Sono stati additati, di volta in volta, la TV, il cinema, il teatro. Oggi, periodicamente, il dito viene puntato sui videogames in generale e, più nello specifico, ai videogiochi cosiddetti "violenti".
La grande domanda è: "i videogiochi (in particolare quelli violenti) fanno male?"
La mia prima risposta, in sintesi, è che la domanda è sbagliata.
Cominciamo con un dato di fatto: i videogiochi "violenti" hanno un mercato, cioè c'è gente che li apprezza, li compra, ci gioca. Questa è la ragione per cui esistono. I videogiochi non esistono per essere buoni o cattivi; esistono perché incontrano i gusti, i bisogni e i desideri di qualcuno. Non intendo dire che questo giustifichi di per sé la loro esistenza; voglio sottolineare però che i videogiochi violenti sono conseguenze di qualcosa, prima di essere cause.
Allora, una buona domanda sarebbe casomai: perché a qualcuno (non a tutti) piace giocare con un videogioco violento? Dopo di che, è pur vero che il gioco è un potente strumento di apprendimento. Si gioca per divertimento (piacere), e intanto ci si impegna in modo immersivo; così si impara e si cresce.
A questo punto, io credo, si innesta il problema pedagogico, e il gioco diventa oggetto di considerazioni di tipo etico-morale. Come dire: o mi impegno in una attività produttiva, e allora sto lavorando e sono nel mondo degli adulti; o mi dedico al gioco, e allora sono nel mondo dell'infanzia, e bisogna che quantomeno il gioco sia educativo, che mi aiuti a crescere nel modo giusto.
Non è difficile muovere delle obiezioni sistematiche a queste premesse: chi ha detto che il gioco sia appannaggio esclusivo dell'infanzia? Chi può dire quale gioco sia istruttivo e quale no? Chi decide che il gioco vada asservito ad un fine pedagogico, ed a quale fine?.
Ma lasciamo perdere. Mettiamoci nei panni del genitore il cui figlio chiede in regalo il nuovo videogioco violento di turno. Che fare?
Analizziamo il potenziale pericolo. Il videogioco, per essere dannoso, dovrebbe:
1) alterare l'equilibrio psicofisico di chi gioca;
2) modificare la personalità o comunque sviluppare i tratti meno desiderabili;
3) veicolare un insegnamento sbagliato e/o pericoloso dal punto di vista sociale-culturale;
4) e soprattutto, far sì che tutto questo passi dal mondo virtuale alla realtà.
Inoltre, il videogioco (violento o meno) potrebbe:
5) sottrarre tempo e risorse ad attività più meritevoli,
6) creare dipendenza (come una droga, per capirci).
Vediamo dunque, punto per punto, cosa dicono le ricerche:
1) i videogiochi violenti producono delle alterazioni fisiologiche di tipo eccitatorio, come se ci si preparasse ad una attività agonistica. Recentemente, si è registrato anche un aumento dell'attività delle aree del cervello "emotive" a scapito delle aree più "razionali";
2) il videogioco violento consente di sperimentare aspetti del proprio carattere altrimenti non esprimibili. Che l'esercizio tenda a rinforzare questi aspetti non è dimostrato; è anche possibile, al contrario, che si impari a gestirli meglio;
3) non c'è dubbio che in molti videogiochi violenti si propongano condotte che sarebbero socialmente riprovevoli nella realtà (uccidere, rubare, etc.). Il punto è: in che misura il gioco suggerisce che quanto accade al suo interno possa valere anche all'esterno?
4) la permeabilità della membrana che separa il gioco dalla vita vera è un aspetto che pare decisivo. In effetti, secondo alcuni dati sperimentali (non tutti) c'è un certo travaso dal gioco alla realtà: dopo il gioco, i bambini sono per così dire "attivati", cosicché le loro risposte tendono ad essere più di tipo "agonistico" (anti-sociale) che non di tipo "cooperativo" (pro-sociale);
5) i videogiochi in generale hanno un potere ipnotico, per cui si tende a "caderci dentro", perdendo la cognizione del tempo;
6) la dipendenza è un tipo di relazione, che si può stabilire tra due persone, o tra una persona ed una sostanza, o tra una persona e la TV, e così via. Può accadere anche tra una persona e un videogioco? Sembra di sì. Ma come ogni altra dipendenza patologica, ciò non avviene mai a caso. Vale il principio che la dipendenza patologica è un tentativo fallimentare di auto-cura prima che una malattia.
Adesso l'ipotetico genitore il cui figlio vuole il videogioco in regalo è informato. E può scegliere cosa è più giusto fare. La sua scelta però non è prevedibile sulla base delle informazioni citate. Molto dipenderà da quello che il genitore già pensava prima di essere informato. Cito un'ultimo studio secondo il quale ci sono tre modi in cui i genitori intervengono in merito al problema dei videogiochi: il modo restrittivo ("non te lo compro"), il modo attivo ("puoi giocarci mezz'ora al giorno dopo i compiti") il modo collaborativo ("se fai i compiti ci gioco anche io con te"). A quanto pare, il metodo adottato dipende dalle convizioni che i genitori hanno sugli effetti dei giochi stessi.
P.S. Fateci caso; tutto quello che avete appena letto sui videogiochi violenti varrebbe anche se l'ipotetico bambino giocasse ai pirati in camera sua.
FONTE:psiconet.it